Letteratura

Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, 1890

Dopo circa un quarto d’ora Hallward smise di dipingere e con le sopracciglia aggrottate osservò lungamente Dorian Gray poi a lungo il quadro, mordendo l’estremità di uno dei suoi grossi pennelli. "È completamente finito," esclamò alla fine e, chinatosi, scrisse il suo nome a lunghe lettere vermiglie nell’angolo sinistro della tela.
Lord Henry si avvicinò ed esaminò il quadro. Senza dubbio era una meravigliosa opera d’arte e anche la rassomiglianza era meravigliosa.
"Mio caro amico, ti faccio le mie più vive congratulazioni," disse. "È il più bel ritratto dell’epoca moderna. Signor Gray, venga e si guardi."
Il giovane ebbe un sussulto, come se si fosse destato da un sogno. "È davvero finito?" mormorò scendendo dalla piattaforma.
"Completamente finito," ripeté il pittore. "E oggi hai posato magnificamente. Te ne sono davvero riconoscente."
"È tutto merito mio," intervenne Lord Henry. "Non è vero signor Gray?"
Dorian non rispose, ma passò con aria svogliata davanti al quadro e si voltò per osservarlo. Quando lo vide arretrò leggermente e per un attimo arrossì di piacere. Gli occhi gli si illuminarono di gioia, come se per la prima volta si fosse riconosciuto. Rimase immobile, stupito. Sentiva debolmente che Hallward gli diceva qualcosa, ma non capiva il significato delle parole. Il senso della sua bellezza lo colpì come una rivelazione. Non se ne era mai reso conto, prima. I complimenti di Basil Hallward gli erano sembrati solo le piacevoli esagerazioni di un amico; li aveva ascoltati, ne aveva riso, li aveva dimenticati. Non avevano avuto nessuna influenza sul suo carattere. Poi era venuto Lord Henry Wotton con quel suo strano panegirico sulla giovinezza e il terribile avvertimento della sua brevità. Sul momento la cosa lo aveva colpito e ora, mentre contemplava l’ombra della propria bellezza, la piena realtà di quella descrizione lo attraversò come un lampo. Sì, un giorno il suo volto sarebbe divenuto rugoso e avvizzito, gli occhi deboli e scoloriti, la grazia della sua figura rotta e deforme. Le labbra avrebbero perduto il colore scarlatto, l’oro sarebbe scomparso dai capelli. La vita, che avrebbe formato la sua anima, avrebbe distrutto il suo corpo. Sarebbe diventato orribile, ripugnante, goffo.
Mentre pensava a queste cose, un’acuta fitta di dolore lo attraversò come una coltellata, facendo rabbrividire ogni nervo della sua delicata natura. Gli occhi assunsero un color ametista e li velò una nebbia di lacrime. Gli sembrò che una mano di ghiaccio gli avesse stretto il cuore.
"Non ti piace?" esclamò finalmente Basil Hallward un poco colpito dal silenzio del giovane e non comprendendone il motivo.
"Certo che gli piace," disse Lord Henry. "A chi non piacerebbe? È una delle migliori opere dell’arte moderna. Ti darò tutto quello che vorrai chiedermi. Devo averlo."
"Non è mio, Harry."
"E di chi è?"
"Di Dorian, naturalmente," rispose il pittore.
"È davvero un individuo fortunato."
"Che cosa triste!" mormorò Dorian Gray, sempre tenendo gli occhi fissi sul ritratto. "Che cosa triste! Io diventerò vecchio, orribile, disgustoso, ma questo quadro resterà sempre giovane. Non sarà mai più vecchio di quanto è oggi, in questa giornata di giugno... Se solo potesse essere il contrario! Se potessi io rimanere sempre giovane e invecchiasse il quadro, invece! Per questo... per questo darei qualunque cosa! Sì, non c’è nulla al mondo che non darei! Darei l’anima!"
"Non credo che saresti soddisfatto di un accordo del genere, Basil," esclamò Lord Henry, ridendo. "Sarebbe una brutta fine per il tuo quadro."
"Sarei nettamente contrario, Harry," disse Hallward.
Dorian Gray si voltò verso di lui e lo guardò. "Lo credo, Basil. Preferisci la tua arte ai tuoi amici. Per te non valgo più di una statuetta di bronzo patinato. Anche meno, oserei dire."
Il pittore lo guardò sconcertato. Era così insolito in Dorian un linguaggio simile. Che cosa era successo? Sembrava piuttosto arrabbiato. Era rosso in volto e aveva le guance ardenti.
"Sì," proseguì, "per te valgo meno del tuo Hermes d’avorio o del tuo fauno d’argento. Quelli ti piaceranno sempre, ma per quanto ti piacerò io? Fino al giorno in cui mi apparirà la prima ruga, immagino. Adesso so che quando si perde la bellezza, qualunque essa sia, si perde tutto. Me lo ha insegnato il tuo quadro. Lord Henry Wotton ha perfettamente ragione. La giovinezza è l’unica cosa che vale la pena di possedere. Quando mi accorgerò di invecchiare mi ucciderò."
Hallward impallidì e gli afferrò la mano. "Dorian! Dorian!" esclamò, "non dire queste cose. Non ho mai avuto un amico come te, e non ne avrò mai un altro. Tu non sei geloso delle cose materiali, non è vero? Tu che sei più bello di tutte loro!"
"Sono geloso di tutto ciò la cui bellezza non muore. Sono geloso del ritratto che hai dipinto. Perché dovrebbe conservare quello che io devo perdere? Ogni attimo che passa toglie qualcosa a me e dà qualcosa al ritratto. Oh, se solo potesse accadere l’inverso! Se il quadro cambiasse e io potessi rimanere come sono adesso! Perché lo hai dipinto? Un giorno mi deriderà... mi deriderà orribilmente!" Calde lacrime gli salirono agli occhi. Strappò la mano da quella di Basil e, lasciatosi cadere sul divano, seppellì il volto tra i cuscini come se pregasse.
"Questo è opera tua, Harry," disse il pittore amaramente.
Lord Henry scosse le spalle. "È il vero Dorian Gray... Tutto qui."
"No, non è il vero Dorian Gray."
"Se non lo è, io che cosa c’entro?"
"Avresti dovuto andartene quando te l’ho chiesto," mormorò Basil.
"Sono rimasto quando me lo hai chiesto," fu la risposta di Lord Henry.
"Harry, non posso litigare contemporaneamente con i miei due migliori amici, ma fra tutti e due mi avete fatto odiare l’opera più bella che ho mai fatto e quindi la distruggerò. Che cos’è se non tela e colore? Non permetterò che si metta tra le nostre tre vite e le rovini."
Dorian Gray sollevò dai cuscini la testa dai capelli d’oro e guardò, pallido in viso e con gli occhi gonfi di lacrime, il pittore che si avvicinava al tavolo di lavoro di abete, sistemato di fronte agli alti tendaggi della finestra. Che cosa intendeva fare? Le sue dita vagavano alla ricerca di qualche cosa nella confusione di tubetti di stagno, di pennelli asciutti. Sì, cercava la lunga spatola dalla sottile lama di acciaio flessibile. Alla fine la trovò. Stava per fare a pezzi la tela.
Con un singhiozzo soffocato il giovane balzò dal divano e, precipitatosi addosso a Hallward, gli strappò la lama dalle mani e la gettò in fondo allo studio. "No, Basil, non farlo!" gridò. "Sarebbe un delitto!"
"Sono contento che finalmente tu apprezzi il mio lavoro, Dorian," disse freddamente il pittore, quando si fu ripreso dalla sorpresa. "Non l’avrei mai pensato."
"Apprezzare il tuo lavoro? Ne sono innamorato, Basil. È parte di me, lo sento."
"Bene, non appena sarai asciutto, ti vernicerò, ti metterò la cornice e ti manderò a casa. Allora potrai fare di te stesso quello che più ti piacerà." Attraversò la stanza e suonò il campanello per il tè. "Prendi il tè, naturalmente, Dorian? E anche tu, Harry? O avete qualcosa da obiettare contro questi semplici piaceri?"
"Adoro i piaceri semplici," disse Lord Henry. "Sono l’ultimo rifugio delle cose complicate. Ma non mi piacciono le scenate fuorché sul palcoscenico. Che personaggi assurdi siete, tutti e due! Mi domando chi ha mai detto che l’uomo è un animale ragionevole. È stata la definizione più prematura che sia stata data. L’uomo è molte cose, ma non è ragionevole. Del resto, sono contento che non lo sia: avrei preferito che voi due, ragazzetti, non vi azzuffaste a proposito del quadro. Sarebbe stato meglio se tu lo avessi dato a me, Basil. Questo stupido ragazzo in realtà non lo desidera, mentre io sì."
"Se lo dai a qualcun altro, Basil, non ti perdonerò mai!" gridò Dorian Gray, "e non permetto a nessuno di chiamarmi uno stupido ragazzo."
"Sai che il quadro è tuo, Dorian. Te l’ho dato prima ancora che esistesse."
"E lei sa di essere stato leggermente stupido, signor Gray, e sa anche che, in realtà, non le dà affatto fastidio sentirsi ricordare che è molto giovane."
"Avrei avuto moltissimo da obiettare questa mattina, Lord Henry."
"Ah, questa mattina! Da allora lei ha vissuto."
Si sentì bussare alla porta e il maggiordomo entrò reggendo il vassoio del tè che posò su un minuscolo tavolo giapponese. Si udì il tintinnio delle tazze e dei piattini e il sibilo sommesso di un samovar georgiano. Un ragazzo reggeva due ciotole di porcellana cinese. Dorian Gray si mosse e versò il tè. I due uomini si avvicinarono lentamente al tavolino ed esaminarono che cosa c’era sotto i coperchi.
"Andiamo a teatro, stasera," disse Lord Henry. "Deve esserci senz’altro qualcosa, da qualche parte. Ho promesso di pranzare da White, ma si tratta solo di un vecchio amico e quindi posso avvertirlo con un telegramma che sono malato o che non posso andare a causa di un impegno preso successivamente. Penso che questa sia una scusa molto bella: avrebbe in sé tutta la sorpresa dell’innocenza."
"È così noioso dover indossare l’abito da sera," bofonchiò Hallward. "E poi quando lo si
ha indossato è così orrendo."
"Sì," rispose Lord Henry con aria sognante, "il modo di vestire del diciannovesimo secolo è detestabile. È così scialbo, così deprimente. L’unico elemento di colore che sia rimasto nella vita moderna è il peccato."
"Non dovresti proprio dire queste cose davanti a Dorian, Harry."
"Davanti a quale Dorian? Quello che ci sta versando del tè o quello del quadro?"
"Davanti ad ambedue."
"Mi piacerebbe venire a teatro con lei, Lord Henry," disse il ragazzo.
"Venga, allora. E verrai anche tu, Basil, non è vero?"
"Proprio non posso. Preferirei di no. Ho molto lavoro da fare."
"Bene, allora andremo noi due soli, signor Gray."
"Mi farebbe moltissimo piacere."
Il pittore si morse il labbro e tenendo la tazza in mano si avvicinò al ritratto. "Io resterò con il vero Dorian," disse tristemente.
"È proprio il vero Dorian?" esclamò, dirigendosi verso di lui, l’originale del ritratto. "Sono davvero così?"
"Sì, sei proprio così."
"È meraviglioso, Basil!"
"Perlomeno in apparenza sei così. Ma il ritratto non cambierà mai," sospirò Hallward.
"È già qualcosa."
"Quante storie si fanno sulla fedeltà!" esclamò Lord Henry. "Pensa, anche in amore è semplicemente una questione di fisiologia. Non ha nulla a che fare con la nostra volontà. I giovani vorrebbero essere fedeli e non lo sono; i vecchi vorrebbero essere infedeli e non possono. È tutto quello che se ne può dire."
"Dorian, non andare a teatro questa sera," disse Hallward. "Rimani qui a cena con me."
"Non posso, Basil."
"Perché?"
"Perché ho promesso a Lord Henry Wotton di andare con lui."
"Non gli piacerai di più per il fatto di mantenere le tue promesse. Lui non mantiene mai le sue. Ti prego di non andare."
Il giovane esitò e lanciò un’occhiata in direzione di Lord Henry che, accanto al tavolino da tè, li stava osservando con un sorriso divertito.
"Devo andare, Basil," rispose.
"Molto bene," disse Hallward. Si mosse e posò la tazza sul tavolino. "È piuttosto tardi e, dato che vi dovete vestire, è meglio che non perdiate tempo. Arrivederci, Harry. Arrivederci Dorian. Venite presto a trovarmi. Domani."
"Certamente."
"Non te ne dimenticherai?"
"No, certamente no," esclamò Dorian.
"E... Harry!"
"Sì, Basil?"
"Ricorda quello che ti ho chiesto questa mattina, quando eravamo in giardino."
"Me ne sono dimenticato."
"Mi fido di te."
"Vorrei potermi fidare anch’io di me," disse Lord Henry, ridendo. "Venga, signor Gray. La mia carrozza è qui fuori e posso accompagnarla a casa. Arrivederci, Basil. È stato un pomeriggio molto interessante."
Appena la porta si fu chiusa alle loro spalle, il pittore si lasciò cadere su un divano e sul viso gli apparve un’espressione di sofferenza.