Dizionario del Cristianesimo

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Introduzione

Il linguaggio cristiano sul martirio si è sviluppato a partire da quello neotestamentario della testimonianza (greco martyrèô, rendo testimonianza). Mentre l’organizzazione interna delle comunità si andavano formando, le difficoltà, gli arresti e le prime condanne a morte collegarono sempre più la “testimonianza” su Gesù Cristo  dapprima con le traversie missionarie e poi via via con i processi a causa della fede  professata. Nacque così nel II secolo l’identificazione del martirio con la morte violenta subita per non rinnegare la fede; più tardi il titolo di martire venne riservato a quanti subivano effettivamente la pena di morte; ai credenti condannati a pene di detenzione, a lavori forzati o ad altre restrizioni civili si conferì piuttosto il titolo di “confessore” della fede. L’integrazione del martire nella vita ecclesiale faceva del suo gesto innanzi tutto un esempio di coraggio; ma la consapevolezza di ripresentare Cristo  stesso e di possedere nel proprio cuore lo Spirito, promesso da Dio  per gli ultimi tempi, provocava in genere atteggiamenti di entusiasmo religioso, che giunse in alcuni casi fino all’autodenuncia e che favorì il manifestarsi di esperienze di tipo carismatico. La consapevolezza che i martiri condannati per la fede fossero ripieni di Spirito Santo  e avessero in sé Cristo era alla base sia della prassi penitenziale, rimasta in vigore fino alla metà del III secolo, secondo la quale le Chiese accettavano il loro intervento, che dal carcere assicurava il perdono di Dio per alcuni confratelli peccatori che fossero stati precedentemente espulsi dalla comunità o che avessero apostatato durante l’interrogatorio; sia della normativa ecclesiastica che, in caso di ritorno dopo aver scontato la pena, aggregava i confessori della fede nel gruppo dei diaconi e dei presbiteri senza l’imposizione delle mani. L’incontro con le tradizioni martirologiche giudaiche fece emergere nuove prospettive, tra cui la preoccupazione di presentare il morire per la propria religione come un momento di grande saggezza filosofica; nello stesso tempo si ricuperava un valore che il mondo culturale stoico non poteva non ammirare: l’opposizione al tiranno fino alla morte. Il giudaismo trasmise senza dubbio al cristianesimo un senso molto vivo della totalità corporativa del popolo, per cui la morte dei martiri era sentita come una specie di sacrificio vicario a beneficio di tutti; nel martire si vide pertanto l’imitazione espiatoria più autentica della morte di Cristo. Si scoprì pure che le donne offrivano esempi insospettati di fortezza d’animo, eguagliando e superando persino gli uomini nel rigore della coscienza religiosa; il movimento carismatico e l’esperienza del martirio furono i contesti che permisero la nascita di una letteratura religiosa cristiana femminile. Infine, il martirio accentuò le prospettive escatologiche della coscienza cristiana. L’Apocalisse giovannea ebbe una parte importante in questo processo storico-culturale; le riflessioni su questo libro confermarono non solo la consapevolezza che il martirio fosse l’imitazione più autentica di Cristo stesso, ma anche la convinzione che soltanto i martiri fossero sicuri della salvezza, essendo essi destinati a partecipare della gloria di Dio subito dopo la loro morte, a diversità degli altri credenti morti prima della seconda venuta del Redentore; esasperarono pure l’attesa di una terribile vendetta di Dio sopra il mondo intero, che si dimostrava sempre più ostile al messaggio evangelico, e di una rivincita nella quale i martire stessi avrebbero processato i loro giudici.

Il culto dei martiri

La venerazione iniziò ben presto nella Chiesa , sviluppando il tradizionale culto dei morti; il Martirio di Policarpo verso la fine del II secolo attesta che veniva festeggiato il dies natalis, commemorativo del giorno della morte. Le fonti storiche principali sono costituite da testi letterari, Atti dei Martiri o epigrafici e da reperti archeologici. La parte letteraria più abbondante è costituita da Leggende prive di valore storico; si tratta di brevi romanzi popolari che cercano di diffondere un’epica cristiana soprattutto a partire dal IV secolo. Il culto dei martiri crebbe soprattutto nel V secolo, allorché sorsero mausolei che coprivano una o più tombe nella zona cimiteriale ove erano stati sepolti. L’epigrafia martirologica si sviluppò staccandosi da quella funeraria, perché inserì il titolo di martyr o di sanctus, il ricordo della passione  o del martirio, l’evocazione del combattimento e dei nemici, il tema della vittoria e del trionfo, del soggiorno celeste e della beatitudine eterna. Si diffuse anche la pratica dell’inumazione ad sanctos sia presso le tombe dei martiri sia presso gli altari consacrati dalla presenza di reliquie. Dopo il Medioevo furono elaborati alcuni criteri storico-giuridici in funzione soprattutto delle cause di beatificazione. Il concetto di martire venne definito in base a quattro criteri fondamentali: il credente deve avere subito una morte violenta; tale morte deve essere dipesa da una causalità responsabile estrinseca e distinta dalla vittima; l’evento deve essersi realizzato per un motivo di fede o di virtù morale riferibile a Dio; infine, la morte deve essere stata consapevolmente accettata con particolari disposizioni spirituali motivate da prospettive di ordine soprannaturale.