Dizionario del Cristianesimo

A B C D E F G I L M N O P Q R S T V

Introduzione

Il monachesimo (o monachismo; dal greco monachòs, derivato da mònos, solo) è un fenomeno religioso di grande importanza storica e di vasta estensione nel tempo come nello spazio, per cui alcuni individui, uomini ma anche donne, isolatamente (eremiti), in gruppi (cenobiti) o in forme miste (laura) si separavano dal consorzio umano decidendo di praticare, con il maggior impegno possibile, gli obblighi di vita della propria fede . Vi furono monaci nell’Egitto antico, nel giudaismo, precristiano e successivo (esseni, terapeuti), nell’islam (ove i dervisci legano le proprie origini alla complessa temperie del sufismo), ma soprattutto in India, ove il monachesimo è un fenomeno che accompagna costantemente religioni quali il buddhismo (presso il quale la comunità di fede o sangha fu originariamente costituita da una primitiva comunità monastica) o il lamaismo mongolo-tibetano da esso derivato, il giainismo (ove sussistono ben due forme di monachesimo differenti per regole e consuetudini di vita) e l’induismo stesso. Particolare rilievo assunse il monachesimo, sia sul piano spirituale sia su quello sociale, in seno al cristianesimo , tanto a Oriente quanto a Occidente, dando addirittura origine nel cattolicesimo romano a tutta una serie di Ordini religiosi a fondamento monastico.

Il monachesimo cristiano

Non sappiamo esattamente dove e quando il monachesimo cristiano sia apparso, ma si può asserire che il primo vero esponente del monachesimo cristiano fu l’egiziano sant’Antonio abate, vissuto verso il 300 d.C., che, riprendendo le esortazioni alla solitudine e al silenzio, anche precristiane, e alla povertà evangelica si ritirò nel deserto. Questa forma di ascesi realizzata nell’isolamento, attuata anche da san Girolamo, prese il nome di anacoretismo (dal greco anachôrèô, ritirarsi) e cominciò a essere praticato non solo in solitudine ma anche da gruppi di anacoreti o eremiti, formatisi già attorno a sant’Antonio: si ebbe così il monachesimo eremitico, che ispirò maestri di vita come Macario l’Egiziano e il palestinese Ilarione di Gaza. Tuttavia, l’esigenza di rendere possibile un’ascesi che tenesse anche conto delle esigenze di vita associata stimolò la formazione del monachesimo cenobitico, il cui primo maestro fu Pacomio (IV secolo): sotto il suo insegnamento i monaci si riunivano sotto l’autorità d’un padre e maestro, l’abate, da cui accettavano la Regola, e praticavano la vita comune. Il monachesimo conobbe un’ampia diffusione specie grazie alla biografia di Antonio (Vita Antonii) redatta da sant’Atanasio e all’opera di san Basilio il Grande, considerato il vero organizzatore del monachesimo orientale, che esercitò nel mondo siriaco e palestinese, e successivamente in tutto l’Impero bizantino, una grande influenza. In Occidente la diffusione del monachesimo fu all’inizio difficoltosa, anche se non mancarono esempi significativi di vita ascetica (si pensi a san Martino di Tours o al cenobio semipelagiano di Lérins illustrato soprattutto dall’opera di sant’Eucherio); fondamentale fu la spinta data nei secoli VI-VII dal monachesimo irlandese, diffusosi in Europa soprattutto grazie all’opera di san Colombano. Ma il vero padre del monachesimo occidentale deve essere considerato san Benedetto da Norcia: egli, riprendendo gli insegnamenti di Cassiano e di Basilio, e correggendo precedenti tendenze individualiste e anomiche del monachesimo, esaltò e affermò la validità della Regola, indicata come la norma che permette di militare per Cristo  sotto la guida dell’abate. Questi venne quindi a essere considerato padre dei suoi monaci e capo di tutta l’organizzazione sociale ed economica rappresentata dal monastero. Pur lasciando largo tempo alla preghiera , Benedetto sostenne la dignità del lavoro come uno dei mezzi d’ascesi; inoltre, contrappose al primitivo vagabondaggio la stabilitas, per cui il monaco si poteva allontanare dalla sua sede solo eccezionalmente. Il monachesimo benedettino conobbe all’inizio un’espansione relativamente modesta; grande impulso gli venne dalla riforma dei monasteri franchi a opera di Benedetto d’Aniane (IX secolo), che avvalorò l’importanza del lavoro intellettuale a fianco di quello manuale. Accanto a una fioritura monastica, si manifestarono però i primi indizi di una crisi: troppo debole si mostrò il monastero benedettino, isolato e autonomo, per resistere alla pressione dei potenti laici. Maturò così l’esigenza di un rinnovamento che fu avviato da più parti, tenendo presenti i valori profondi della Regola benedettina. Se in Germania la riforma s’affermava con il monastero di Gorze, in Francia ebbe un successo enorme il movimento cluniacense, partito dal monastero di Cluny, che creò un corpo solidale e unitario di enti sparsi per l’Europa, conseguendo una grande autorità e potenza. Nel risveglio religioso dell’XI secolo anche il monachesimo ebbe larga parte, ritrovando alcune delle sue espressioni più tipiche, come l’eremitismo e la predicazione itinerante. Del primo, la manifestazione di maggior rilievo è il monachesimo camaldolense, iniziato da san Romualdo, che propose un ascetismo vivo nella solitudine e nel silenzio; del secondo, fu teatro soprattutto la Francia, ove i diversi movimenti originati dai predicatori itineranti portarono a specifiche formazioni monastiche. Discusso e criticato per la sua ricchezza e potenza dagli eretici del XII secolo, il monachesimo seppe di nuovo riformarsi grazie al tedesco san Bruno di Colonia, che diede origine agli eremiti certosini, e a san Roberto di Molesmes che, ispiratosi principalmente alla Regola benedettina, sottolineò l’importanza e la dignità del lavoro. Solo con i nuovi Ordini mendicanti, che pure del monachesimo riprendevano molte esperienze, iniziò tra i secoli XIII-XV la crisi del fenomeno monastico nel senso classico del termine. Il prestigio della vita cenobitica ne fu gravemente intaccato, causando la distruzione di patrimoni formati attraverso cure secolari e dilapidati dai cosiddetti abati commendatari; né meno disastrosa fu la polemica contro i monaci da parte riformata, ripresa e aggravata poi nell’età illuministica. Proprio tra i secoli XVII e XVIII, tuttavia, il monachesimo conobbe una ripresa grazie a iniziative individuali, che dalla tradizione cercarono di isolare gli elementi sempre validi e utilizzabili. Così, mentre il movimento trappista in Francia esaltava gli aspetti duramente ascetici, la congregazione di san Mauro si assumeva il compito di iniziare un ampio lavoro culturale. Nel complesso, l’opera svolta dal monachesimo è stata storicamente eccezionale nei più diversi campi dello spirito: dall’esaltazione della santità e della dignità del lavoro, all’affermazione di un ideale di vita superiore contro la barbarie della violenza, dall’opera sociale di assistenza, alla promozione della vita culturale.

Il monachesimo nelle altre religioni

Molte religioni individuano nell’ascetismo e nell’organizzazione in comune della vita religioso-sociale il mezzo per raggiungere più facilmente lo scopo, che è l’unione con la divinità. Il monachesimo vero e proprio si trova nelle grandi religioni dell’India e dell’Asia orientale (giainismo, buddhismo, anche taoismo) e nel ristretto gruppo del giudaismo di tipo esseno nel Vicino Oriente. In tutti questi casi il monachesimo è nato come reazione alle condizioni religiose precedenti e perfezionamento della vita religiosa individuale.

Il buddhismo

La morale del buddhismo tende a estinguere nell’uomo la sete di vivere, che è la causa del dolore. Per raggiungere questo scopo si costituì dopo la morte del Buddha una comunità (o sangha) stretta tuttavia da vincoli più morali che giuridici, in quanto non aveva un organo centrale di direzione e i monaci, salvo nella stagione delle piogge, conducevano vita itinerante. L’entrata nella comunità, già in origine aperta agli appartenenti a qualsiasi casta, ammette due stadi: uno di uscita (pabbajjâ) dalla vita secolare, una specie di noviziato, e l’altro d’ingresso o arrivo (upasampadâ) nella comunità dei monaci, con l’obbligo di vestire la tunica gialla, di mendicare il proprio pasto, di meditare l’insegnamento del Buddha e di diffonderne i precetti. La professione non lega per tutta la vita: chi vuole può ritornare liberamente al secolo. Le occupazioni del monaco (bhiksu in sanscrito, bhikkhu in pâli), sono ordinarie e periodiche. Le ordinarie consistono nella recita salmodiata degli insegnamenti del Buddha, nello studio degli elementi della dottrina e nella questua mattutina del cibo quotidiano. Le periodiche consistono in un esame quindicinale collettivo (novilunio e plenilunio) con relativa confessione delle colpe commesse, già elencate in una specie di Regola (patimokkha). Ogni anno, cessata la stagione delle piogge, i monaci riprendono la loro vita missionaria, ma prima di separarsi compiono la cerimonia della pavâranâ, o invito, nella quale essi, riuniti, giunte le mani in alto, pregano i confratelli di indicare loro se hanno commesso qualche colpa affinché la possano espiare. A lato della comunità dei monaci c’è quella delle monache (bhikkhunî) regolata da otto ordinamenti che tendono a porle sotto la dipendenza dei monaci. Analoghe, ma seguite con maggior rigore, sono le prescrizioni per i monaci nel giainismo. Nel Tibet il monaco buddhista Tsongkhapa (1357-1419) fondò il cosiddetto lamaism, “confessione” buddhista fortemente caratterizzata dagli istituti della vita monastica.

Il taoismo

Anche in Cina il taoismo ha assunto una forma gerarchica, con monaci e conventi, verso il I secolo d.C., a opera di Chang Daoling (34-156 d.C.) detto il “gran patriarca”, l’“augusto puro”, che imitò l’organizzazione conventuale del buddhismo.

La Comunità dell’alleanza

In Palestina, nel deserto di Giuda tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C., si stabilì un gruppo di ebrei ostile all’ebraismo ufficiale. Già Giuseppe Flavio, Filone e Plinio ne avevano data notizia individuandoli come esseni. Ma la rivelazione venne nel 1947 con la scoperta a Qumran di 14 grotte contenenti manoscritti (anche biblici) oltre a una Regola della Comunità. La comunità viveva monasticamente: vita celibataria, pasti e preghiere in comune. La gerarchia comprendeva i sacerdoti, gli anziani (o grandi), il popolo suddiviso in gruppi. C’era l’accettazione preliminare, il noviziato di due anni e l’aggregazione che importava la confessione dei peccati  e il proposito di combattere contro le forze del male. Avevano anche un centro di riunione con sale, refettorio per agapi sacre, biblioteca.