Dizionario del Cristianesimo

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Atto di culto (che può o meno assumere connotati di rito vero e proprio) corrispondente all’esperienza religiosa del singolo o della comunità che si collocano dinanzi a un essere sovrumano per stabilire con esso un certo rapporto, specificamente verbale. Nell’ambito di numerose culture cosiddette primitive, la preghiera è formalmente realizzata mediante una serie di gesti, mimiche, danze ecc., accompagnate o meno da sintetiche formule di devozione, di richiesta ecc., e rivela in numerosi casi un’esplicita volontà di ottenere qualcosa dal destinatario extraumano (fecondità, successo nella caccia, difesa da influssi nefasti, pioggia, guarigione ecc.). Questo scopo preciso si ritrova, d’altronde, in preghiere appartenenti a ogni religione antica o moderna. Sarebbe profondamente arbitrario e restrittivo considerare la preghiera che si propone di chiedere qualcosa, e perciò detta “impetrativa”, sacralmente inferiore alla preghiera in cui il devoto manifesta soltanto la propria fiducia nella bontà e nella giustizia extraumane, senza chiedere espressamente nulla, o alla preghiera quale pura via di unione con la divinità, di là da ogni desiderio, volontà, individualità umana. Ogni preghiera è di fatto interessata; ciò che fa differenza è l’oggetto dell’“interesse” (ossia della richiesta che si fa per suo tramite): può concernere una salvezza relativa (e cioè in questo mondo), oppure può concernere la salvezza assoluta (e cioè ultramondana). In molte religioni che costituzionalmente tendono appunto alla salvezza assoluta (per esempio, il buddhismo, il giudaismo, il cristianesimo ), la preghiera è in via di perfezione spirituale. Ma ben di rado l’avanzamento su tale via coincide con la levatura intellettuale profana del devoto e non sempre esso coincide con l’interiorizzazione del pregare: basti pensare ai rulli con iscrizioni di preghiere che i devoti del lamaismo tibetano fanno costantemente girare per garantire la continuità della preghiera. È pur vero che tali pratiche di ripetizione, così come la pratica cattolica del rosario, sono accompagnate da uno stato di apertura verso il divino nella persona che le compie. Ma è indubbio che l’atto rituale continua a valere di per sé, ed è di per sé valida preghiera. Interpretare altrimenti il fenomeno, significherebbe operare indebite razionalizzazioni della paradossale ed enigmatica esperienza del sacro. Dal punto di vista formale, le preghiere possono approssimativamente essere suddivise in alcune categorie: a)formula o discorso in cui si loda la divinità e le si pone una richiesta, per voce di un solo orante, cui la collettività aderisce con un gesto o una parola ricorrente (per esempio, l’amen ebraico e cristiano); b)litania, e cioè ripetizione più o meno lunga delle formule citate; c)salmo o inno, forme ritmiche laudative e invocative riducibili entrambe a un unico tipo di preghiera-canto avente come scopo la evocazione-rappresentazione di un dio in occasione dell’esecuzione di un suo culto.