Dizionario del Cristianesimo

A B C D E F G I L M N O P Q R S T V

Introduzione

Nel significato di dissenso interno nell’ambito di una comunità religiosa, il termine compare già nelle lettere di san Paolo; è unito anche con il vocabolo hairèseis (eresie) che dal contesto sembra includere una gravità maggiore. L’accostamento e spesso lo scambio dei termini si registrano anche nei più antichi scrittori ecclesiastici. Solo lentamente si venne a distinguere con chiarezza la negazione di un dogma  di fedeeresia , dall’atteggiamento ribelle o insubordinato contro la legittima autorità religiosa, scisma, senza un’apostasia o una ribellione contro il credo. Nei primi secoli era ritenuto scismatico chiunque, trascinandosi dietro un certo seguito, si separasse o fosse separato, con una sentenza da lui non accettata, dal proprio vescovo oppure dal proprio metropolita. Più tardi si qualificò in tal modo solo chi si separasse dall’obbedienza al Sommo pontefice o vescovo di Roma. In quest’ultima accezione il termine è usato soltanto nel mondo cattolico. Le Chiese ortodosse  continuano ad adoperarlo in rapporto ai singoli vescovi oppure ai vari patriarchi, mentre nel protestantesimo  e in altre confessioni acattoliche occidentali in genere si nega il concetto stesso di scisma. Dopo il Concilio Vaticano  I (1870), nel mondo cattolico non è più concepibile l’esistenza di uno scisma che non sia contemporaneamente anche un’eresia. Ma più che in teologia  si parla di scisma nella storia della Chiesa . I primi secoli appaiono quanto mai fecondi di scismi. Il primo di una certa entità fu quello causato dalla contesa circa il giorno in cui si doveva celebrare la Pasqua. Molto più esteso e duraturo fu lo scisma dei donatisti. Scismi secondari si ebbero nell’elezione di taluni papi , cui per un certo tempo negava l’obbedienza il partito avverso. Altri scismi furono occasionati da questioni dottrinali. Due scismi incisero profondamente nella storia della Chiesa: lo scisma d’Oriente e lo scisma d’Occidente.

Scisma d’Oriente

La storia gli assegna come data di origine il 20-7-1054, quando si ebbe l’ultimo atto che separò definitivamente l’Oriente dall’Occidente dal punto di vista religioso. Le sue cause furono senza dubbio di carattere religioso, ma vi influirono anche molteplici motivi politici e culturali. Nel 381 i vescovi, nel Concilio  Costantinopolitano I, inserirono un canone, mai approvato dal papa, nel quale si auspicava che il vescovo di Costantinopoli avesse la supremazia di onore dopo il vescovo di Roma. A tale richiesta si aggiungeva in pratica l’esercizio effettivo di una supremazia di giurisdizione nei riguardi del mondo cristiano d’Oriente. Nel Concilio di Calcedonia (451) il vescovo di Costantinopoli venne nominato patriarca di tutto l’Oriente ed equiparato al vescovo di Roma. Quel canone con la sua insistenza sul motivo politico di Costantinopoli capitale dell’impero, generò non poche confusioni teologiche, favorì il cesaropapismo, sottomise in qualche modo la Chiesa allo Stato e preparò gli animi all’idea delle Chiese autocefale. Simili pretese degli ecclesiastici e le ingerenze di molti imperatori, che facevano pesare la propria autorità e si atteggiavano volentieri a teologi, portarono a una serie di contrasti con i vescovi di Roma. Spesso ci fu un’aperta opposizione, ossia lo scisma, più o meno lungo. Gli storici ne contano sette dal 337 all’843, che durarono complessivamente ben 219 anni. Nel IX secolo si ebbe, se non lo scisma definitivo, il fatto che lo preparò in maniera notevole. Protagonista principale fu un uomo dottissimo, Fozio, eletto patriarca dall’imperatore, che aveva deposto arbitrariamente il patriarca in carica, Ignazio (857). Il papa Niccolò I si schierò a favore dello spodestato. La riunione fu ristabilita durante il breve ritorno di Ignazio (867-877); dopo la morte di questi, Fozio fu di nuovo patriarca (877-886). Seguirono periodi di rotture, intercalati da anni di unione, finché nel 1027-28 il nome del papa fu definitivamente cancellato dai “dittici” di santa Sofia. L’ultimo passo si ebbe nel 1054, sotto il patriarca Michele Cerulario. Gli avvenimenti furono molto complessi. Se gli orientali ebbero le loro colpe e responsabilità, oggi si giudica con molta severità l’opera del cardinale Umberto di Silva Candida, che guidava la legazione pontificia. Egli, il 16-7-1054, scomunicò il patriarca di Costantinopoli e il suo clero; il 20 luglio Michele Cerulario ritorse la scomunica  contro i legati pontifici. Sotto il punto di vista giuridico l’atto del cardinale era probabilmente invalido, perché nel frattempo era morto papa Leone IX. Lo scisma si diffuse in breve in tutti i Paesi, dalla Penisola balcanica alla Russia. Le crociate rinsaldarono lo scisma. Due concili ecumenici, il II di Lione, del 1274 e quello di Ferrara-Firenze del 1438-43, tentarono di eliminarlo, ma con risultati negativi. Il Concilio Vaticano II, che evitò la parola scisma, con il decreto De Oecumenismo (del 21-11-1964) lanciava un caloroso appello per il ristabilimento dell’unità, creando un’atmosfera nuova di speranze e di buona volontà. Il 7-12-1965 Paolo VI con il breve Ambulate in dilectione e Atenagora I, patriarca di Costantinopoli, con un Tomos, dichiararono decadute le scomuniche reciproche del 1054.

Scisma d’Occidente

Fu un penoso strascico del trasferimento della sede dei papi da Roma ad Avignone. Al suo sorgere contribuirono il carattere imprudente e irruente di papa Urbano VI e la mentalità mondana di vari cardinali, che pretendevano un governo più collegiale nella Chiesa e la soddisfazione delle loro ambizioni. Dopo molte incertezze, finalmente Gregorio XI si era deciso a trasferirsi a Roma (1377), ove morì il 26-3-1378. L’elezione del successore si presentò molto laboriosa e l’8 aprile fu eletto Urbano VI. Entrato presto in contrasto con diversi cardinali, questi ultimi, ottenuto l’appoggio di Carlo V di Francia e di Giovanna d’Angiò, regina di Napoli, elessero a Fondi un nuovo papa, Roberto di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII (20-9-1378) e che dopo poco si trasferì ad Avignone. I vari Paesi si schierarono per l’uno o per l’altro papa. Alla morte dei due protagonisti per vari motivi si continuò a nominare subito i rispettivi successori. A Roma si ebbero i papi Bonifacio IX (1389-1404), Innocenzo VII (1404-06) e Gregorio XII (1406-17). In Avignone a Clemente VII successe nel 1394 Pedro de Luna, che prese il nome di Benedetto XIII. I tentativi per la cessazione dello scisma furono molteplici. Il più clamoroso si ebbe nel 1409 con il Concilio di Pisa, a cui Gregorio XII rispose con un suo Concilio a Cividale del Friuli e Benedetto XIII con un altro a Perpignano, ma senza conseguenze di rilievo. A Pisa si dichiararono deposti i due antagonisti e si elesse l’arcivescovo di Milano quale unico papa (26-6-1409), che prese il nome di Alessandro V, cui un anno dopo successe Giovanni XXIII. Invece dell’unione, si era provocata una scissione maggiore: tre papi, ognuno dei quali aveva i propri fautori e seguaci. L’eliminazione di una situazione così paradossale si deve innanzitutto alla ferma energia di Sigismondo, re d’Ungheria. Questi obbligò Giovanni XXIII a convocare un Concilio a Costanza (1414-18); non si presentarono né Gregorio XII né Benedetto XIII. Il Concilio s’impose all’antipapa che l’aveva convocato; egli fu costretto ad accettare la propria deposizione (29-5-1415). Dopo tale atto Gregorio XII rinunziò al papato , con la speranza di favorire la cessazione dello scisma, mentre Benedetto XIII, che continuava a non voler riconoscere il Concilio, fu sottoposto a processo e deposto (1417). Fu eletto papa Martino V, riconosciuto anche dall’ex antipapa Giovanni XXIII. Solo Benedetto XIII continuò ad avanzare le sue pretese ed ebbe anche due successori (Clemente VIII e Benedetto XIV). Ufficialmente lo scisma era finito, ma restavano da rimuovere le penose conseguenze, per le quali si auspicava una riforma generale della Chiesa e, per ottenerla, il Concilio prese varie iniziative. Fra l’altro, partendo dal concetto della propria superiorità sul papa, stabilì che ogni decennio si radunassero simili assemblee generali con il compito di vegliare sull’integrità della fede  e dei costumi e di giudicare anche sull’operato del papa. Simile disposizione provocò i concili di Pavia-Siena (1423-24) e di Basilea (1431), che giunse a un aperto dissidio con Eugenio IV. Si aprì quello che fu detto “il piccolo scisma”, nel quale il papa venne deposto e fu creato un antipapa. Felice V (Amedeo di Savoia, 1439-49), riconosciuta la falsità della propria posizione, abdicò spontaneamente e fu l’ultimo antipapa. Conseguenze più persistenti il Concilio di Costanza le ebbe nel campo delle idee: vi furono discussioni interminabili fra sostenitori della superiorità del Concilio, tesi che influì sui futuri propugnatori della “Chiesa gallicana”, e quelli della superiorità del papa. Infine, la mancata realizzazione di una vera riforma preparò la grande scissione del secolo successivo.