Dizionario del Cristianesimo

A B C D E F G I L M N O P Q R S T V

Introduzione

La storia del concetto di simbolo s’identifica da un canto con le questioni sollevate dalla riflessione filosofica sul rapporto tra le realtà (“simboleggiante” e “simboleggiato”) relazionate dal simbolo stesso; dall’altro con la storia della discussione dei problemi suscitati dalla necessità di distinguere tra simbolo (già separatamente inteso dall’allegoria propriamente detta) e segno, necessità divenuta tematica comune soprattutto nella linguistica e nella semiotica moderne. Ma non è privo di significato il fatto che continuino a essere denominati simboli, per esempio, i segni impiegati dalla matematica, mentre la logica cosiddetta “simbolica”, contrariamente a quanto l’accezione storicamente più comune di simbolo potrebbe far sospettare, è la logica che riduce le proposizioni in termini puramente convenzionali, ossia privi di qualunque legame naturale con le parole e i nessi che rappresentano.
La parola greca symbolon deriva dal verbo symbàllein, che designò in generale l’azione di unire varie parti separate per formare un complesso. In questo senso Platone affermò che simbolo significa “uno composto da due”. Nel mondo greco il simbolo ebbe l’esempio più concreto nel dono ospitale della metà di una moneta o di un anello, di cui l’ospitante conservava l’altra metà: ciascuna metà non soltanto suggeriva l’immagine dell’altra, ma evocava la realtà del complesso, dell’intero; e l’intero non era solo un oggetto sensibile, bensì anche un’esperienza spirituale, un’affinità perenne e sacra. Ciò significa che un’immagine è simbolica in se stessa, per la sua propria struttura (Sartre). Dal punto di vista dell’antropologia, simile “simbolismo esistenziale” trova conferma nell’Essay on Man di Cassirer.

Simbolo e segno

Alla parola simbolo è stata spesso avvicinata dagli studiosi moderni la parola segno, specialmente nell’ambito della linguistica e dell’estetica. A volte il parallelismo o l’identificazione fra simbolo e segno sono stati sottolineati in senso polemico con le dottrine ora esposte. La polemica verte soprattutto sull’intrinseco valore metafisico del simbolo, e cioè sulla sua facoltà di evocare non soltanto un’esperienza sensoria o intellettiva, ma di porre l’uomo in rapporto con l’essenza metafisica. Simili dottrine antropocentriche hanno avuto molteplici affermazioni storiche e hanno coinciso con l’esperienza delle epifanie del mito, storia vera appunto perché simbolica (Malinowski). In tale prospettiva, però, la natura intima del simbolo può essere accostata solo nell’ambito della storia delle religioni.

Interpretazioni simboliche dei miti e delle esperienze religiose

Le prime determinanti speculazioni volte a individuare la componente simbolica delle esperienze religiose e delle loro manifestazioni si ebbero nel Romanticismo di Heidelberg e trovarono enunciazione programmatica nella Symbolik und Mythologie der alten Völker, besonders der Griechen (1810-12) di Georg Friedrich Creuzer. Egli sostenne che il simbolo stabilisce un rapporto effettivo tra realtà e uomo e che antichissimi gruppi sacerdotali s’erano serviti di simboli per educare il popolo, racchiudendo in quei simboli l’essenza dogmatica del loro sapere e delle loro esperienze religiose. Nell’Estetica di Hegel (II, 1) la teoria di Creuzer è menzionata come il principale contributo al rinnovamento degli studi sulla mitologia. Hegel, aggiungendo che le rappresentazioni mitologiche degli antichi possono essere considerate in sé come simboli, pone già il presupposto della dottrina che Johann Jakob Bachofen elaborerà nel Versuch über die Gräbersymbolik der Alten (1859). Studiando i rilievi funerari romani, Bachofen vi riconobbe simboli in sé conchiusi, liberi, che potevano subire varie spiegazioni, ma che nella loro essenza restavano autonomi da ogni spiegazione. Accusate di dilettantismo, di misticismo, di arbitrarietà, queste dottrine furono rifiutate da gran parte dei filologi. Pur senza rifiutare del tutto l’insegnamento di Creuzer, i fratelli Grimm, raccogliendo e studiando le Deutsche Sagen, affermarono che il popolo, ben più delle classi sacerdotali, è creatore di miti. Max Müller, tendendo costantemente a una svalutazione del mito inteso come storia non vera, si limitò a usare i risultati della comparazione linguistica per ricadere in un’interpretazione dei miti allegorica anziché simbolica. Ma da quello stesso sviluppo di studi linguistici Hermann Usener trasse occasione per una serie di studi sui rapporti fra nome e simbolo che sottolinearono la profonda qualità simbolica dei processi del rappresentare involontario e inconsapevole, giustificando l’identificazione di mitologia e teoria delle rappresentazioni religiose. Lo sviluppo più ampio – e in un certo senso il superamento – di questo atteggiamento, si ritrova nella Philosophie der symbolischen Formen (1923-25) di Ernst Cassirer. Mito, arte, linguaggio e conoscenza divengono simboli non come immagini o allegorie che spieghino una realtà precedentemente data, ma nel senso che ciascuna di tali forme crei o faccia emergere da se stessa un proprio mondo di significato.

La psicologia del profondo e lo strutturalismo

A partire dalla seconda metà dell’800, la scoperta dell’arte preistorica offrì agli studiosi un vastissimo repertorio di simboli cui si poteva attribuire una qualità primordiale che, almeno dal punto di vista cronologico, mancava ai simboli funerari ellenistici e romani studiati da Bachofen. Le dottrine di pensatori come Giovan Battista Vico e come lo stesso Hegel che nella primordiale età genetica dei miti riconoscevano un’epoca di vita poetica o mitopoetica in tutte le sue circostanze, acquistarono nuovo spicco, giacché simboliche parvero le prime espressioni umane documentate dai graffiti e dai dipinti rupestri del Paleolitico. Da un lato s’insistette sulla contrapposizione fra pensiero simbolico e pensiero razionale, riconoscendo nel simbolo un superamento spontaneo della finitezza della parola e riprendendo così, ma in un’accezione alquanto limitativa, il pensiero di Bachofen. Procedendo dalla preistoria, età d’oro del simbolo, verso i tempi nostri, il simbolo stesso sarebbe stato schiacciato dalla pressione ostile del pensiero razionale (Théodule-Armand Ribot, 1915). D’altro lato si considerarono i materiali simbolici della preistoria come una dimostrazione del parallelismo tra ontogenesi e filogenesi e si aprì così la via a una serie di verifiche storico-archeologiche più o meno attendibili delle ipotesi della psicologia del profondo. Quest’ultima ebbe indubbiamente il merito di accentuare l’apprezzamento dell’autonomia del simbolo, sottolineando le polivalenze simboliche e le costanti (archetipi, nel pensiero di Carl Gustav Jung) dell’attività simbolica della psiche. Scarso spazio al simbolo in quanto tale è riservato dalle ricerche dello strutturalismo. Questo indirizzo di studi ha giustamente rifiutato le fragili interpretazioni simboliche dei fatti religiosi; ha rifiutato l’interpretazione dei fatti stessi fornita dalla fusione di “segno” e significato; ha ricondotto il simbolo al valore di “segno” insignificante di per sé e significativo soltanto per la struttura in cui si colloca. Su questa via aperta da Lévi-Strauss, che ha utilmente eliminato dagli studi storico-religiosi ogni equivoca (e pseudoscientifica) teoria del simbolismo, si è spinto ancora più oltre l’antropologo Dan Sperber (Le symbolisme en général, 1974) che ha relativizzato alla nostra cultura, impedendone l’universalizzazione, non solo il concetto di simbolo ma lo stesso concetto del “significare”, e conseguentemente tutta intera la semiologia, considerata da lui non come una scienza ma come uno dei fondamenti dell’ideologia occidentale.

Psicoanalisi

Seppure la psicoanalisi non sia giunta a formulare una teoria generale e unanimemente abbracciata sul simbolismo, i termini simbolo, simbolismo, simbolizzazione sono presenti sin dagli inizi nella sua riflessione. I primi riferimenti di Sigmund Freud al simbolismo risalgono agli Studi sull’isteria, laddove egli scopre che i sintomi sono legati per via simbolica ai fatti psichici, di cui sarebbero una segreta manifestazione. La relazione simbolica inconscia che unisce il fatto psichico al sintomo è successivamente segnalata da Freud nei sogni, il cui contenuto manifesto coprirebbe un significato latente che può essere decifrato e interpretato a partire dalla comprensione dell’esperienza del soggetto e del linguaggio dell’inconscio. Ne L’interpretazione dei sogni il pensiero di Freud si specifica però in modo nuovo sulla base dell’influenza di Wilhelm Stekel e altri. I sogni utilizzerebbero un linguaggio simbolico preformato di natura arcaica e i simboli, di cui si serve il sogno, sarebbero elementi ubiquitari, che si formano per quel processo primitivo d’identificazione fra oggetti che è proprio del bambino e che risalirebbe ai primordi della stessa storia umana. Gli oggetti fissi di tale linguaggio “primitivo”, cui il sognatore regredirebbe, sarebbero il corpo, i genitori, i fratelli, la nascita, la morte, la nudità e in genere la sessualità. Questa simbologia costante e presente in ogni cultura si ritroverebbe non soltanto nei sogni, ma in ogni produzione inconscia: nella lingua, nella mitologia, nella religione, nell’arte e nel folklore. Se in un primo tempo la psicoanalisi si è interessata prevalentemente della natura inconscia del simbolismo e si è cimentata soprattutto nella comprensione degli affetti e delle idee celate sotto i vari simboli, in un secondo momento si è imposto vigorosamente all’attenzione il problema della formazione dei simboli: di qui la ricerca si è focalizzata in modo progressivamente crescente sulla relazione fra l’Io, l’oggetto e i simboli. Questo nuovo filone d’indagine è emerso con l’evoluzione del metodo, della tecnica e della teoria psicoanalitici, che non hanno esplorato più unicamente l’inconscio e i suoi contenuti, ma l’Io e le relazioni oggettuali nel transfert.

L’interpretazione kleiniana. Un contributo importante a questa nuova direzione di ricerca è stato dato da Melanie Klein e successivamente dai suoi allievi (in particolare Segal e Bion, ma anche Rosenfeld, Money-Kyrle e Joseph). Con Melanie Klein il simbolo non viene più considerato semplicemente come un fenomeno regressivo e difensivo, ma come un processo che sta alla base di ogni talento e della capacità umana della sublimazione. A stimolare la formazione dei simboli non sarebbero esclusivamente, per la Klein, gli affetti libidici, come suggerivano Freud, Jones e Ferenczi, dal cui pensiero ella trae ispirazione, ma anche le angosce generate dalle fantasie sadiche e distruttive rivolte agli oggetti e dalla parallela spinta della riparazione. In sintesi, nella sua ottica le angosce, dovute agli impulsi sadici, metterebbero in moto nel bambino un immediato processo d’identificazione ed equiparazione del corpo della madre con altri oggetti al fine di salvare la madre amata e buona dalla temuta distruzione e di diminuire l’angoscia di averla persa e danneggiata. Quando le angosce sono troppo intense, il bambino fallirebbe in questo spostamento d’interesse e d’investimento del mondo esterno e verrebbero a bloccarsi e a stereotipizzarsi la sua vita di fantasia e l’esplorazione di sé e dell’ambiente, con la conseguenza di un’inibizione e di un impoverimento del processo di formazione dei simboli. Si originerebbero qui quei disturbi della simbolizzazione, caratteristici della psicosi e dei gravi disturbi mentali, che implicano una mancata differenziazione fra simbolo e oggetto simbolizzato e dunque una notevole carenza nei processi di pensiero e di comunicazione con gli altri e con sé. Concludendo, si può dire che la ricerca clinica e teorica psicoanalitica sul simbolo abbia progressivamente sottolineato, a partire da Melanie Klein, come la capacità di formare simboli non sia affatto qualcosa di acquisito e comune a tutti gli esseri umani, ma piuttosto una potenzialità che può svilupparsi o no, e che una volta acquisita può essere nuovamente perduta in particolari circostanze che mettono a dura prova l’individuo e la sua esistenza. Il processo di simbolizzazione sarebbe così strettamente legato alle relazioni che il bambino instaura con i primi oggetti, in particolare con la madre, e la sua evoluzione dipenderebbe da queste e dal raggiungimento e superamento di quella che viene chiamata posizione depressiva.

Religione cristiana

Il simbolo, come strumento della vita mistica, ha nella storia del cristianesimo  una straordinaria importanza e, specialmente nel cattolicesimo, ha assunto una posizione di preminenza. Dal simbolismo religioso primitivo si è passati a un’organizzazione simbolica di tutta la vita cristiana. La liturgia  della Chiesa  cattolica è un complesso di formule, azioni, cerimonie simboliche che continuamente vogliono richiamare la presenza del soprannaturale. Sin dalla prima letteratura cristiana il simbolo è stato ritenuto valido strumento, utile dal punto di vista psicologico e pedagogico alla formazione della comunità. L’esegesi biblica  e la filosofia ebbero ampia parte nello sviluppo del valore dei simboli, giungendo talvolta a un allegorismo che univa alla precisione scientifica una considerazione immaginifica. Oggetti, atti, formule, iconografie, numeri impegnano continuamente il cristiano all’attenzione del divino, talvolta anche con significato dogmatico. Manifestazioni simboliche particolari di grande peso sono i simboli indicanti la Professio Fidei che hanno valore dogmatico e sono entrati a far parte della liturgia: il Simbolo apostolico (Credo ), il Simbolo atanasiano, il Simboloniceno-costantinopolitano. La Chiesa cattolica riconosce inoltre il valore dogmatico di altri simboli o formule (calcedonesetoledanolateranensetridentino ecc.). Fra i simboli di fede delle Chiese riformate il primo fu la confessione di Augusta, alla quale seguirono numerose altre confessioni di fede.

Arte

A prescindere dalla sua applicazione, il concetto di simbolo presuppone una sostituzione di segni e quindi un radicamento nel visibile, cioè in quello specifico ambito dell’immaginazione e dell’espressione artistica. Riguardo alla formazione delle immagini e al loro tramandarsi, è universalmente diffuso il procedimento di significare determinate cose mediante la rappresentazione di altre, i simboli appunto, assunte in funzione vicaria. Per simbolo s’intende infatti la presentazione di un segno o un’immagine (significante) riferita a una realtà (significato) diversa dall’immagine stessa e insieme concepita come intrinseca a questa, a tal punto che in essa finisce con l’identificarsi. Sin dall’antichità, una donna alata è simbolo della vittoria: se poggia su di una sfera, lo è della fortuna, mentre a sua volta la sfera è simbolo di potere. Il simbolo si presenta dunque come naturale connessione di significante e significato e questa unicità riassuntiva assume un valore assoluto ed esclusivo. Nella rappresentazione simbolica in arte esiste una relazione diretta a livello concettuale tra figura significante e cosa significata, da cui deriva la possibilità di una loro corrispondenza automatica, quasi un’identificazione, il che spiega i profondi legami della simbologia con l’immaginazione religiosa. Tutta l’arte del Medioevo non risulta comprensibile senza la conoscenza degli innumerevoli simboli che la caratterizzano, fondati sui testi biblici e sulla letteratura religiosa. Astrazioni come i vizi e le virtù assumono sembianze umane: le virtù in armi combattono contro i vizi, simboleggiati talvolta da animali reali (la scimmia, simbolo del peccato ) o fantastici (la sirena, simbolo della lussuria). In ambito religioso, spesso è difficile discernere simbolo religioso e realtà di fede cui esso allude, poiché il simbolo può caricarsi in parte dei valori emotivi legati alla realtà cui fa riferimento, assumendone quindi più o meno completamente la sacralità. In una simile prospettiva, s’impone un distinguo fra simbolo e allegoria: mentre l’allegoria costituisce piuttosto un fenomeno storico connesso a un pensare l’arte in quanto forma strumentale di superiori idealità (così nel Medioevo, nella Controriforma  ecc.), viceversa il simbolismo va inteso come una più generale concezione estetica, che l’arte tutta considera come forma simbolica. Le concezioni simboliche riconoscono all’arte il carattere fondamentale di un’intrinseca unitarietà di segno e significato, pur essendo questo altro da quello. Secondo tali concezioni le immagini artistiche, essendo per loro stessa natura segni significanti altro, si connotano come forme simboliche che identificano a sé il loro significato, e in esse soltanto possono esplicare la propria funzione comunicativa, non sempre di facile accesso. Così nel Rinascimento gli artisti usano frequentemente simboli di estrema complessità per evocare le caratteristiche dei loro committenti, principi, sovrani o ecclesiastici. Talvolta a loro veniva porto omaggio nelle decorazioni delle loro residenze stesse, o negli apparati di feste e riti solenni. Nel XVII secolo la decorazione di Versailles illustra l’impiego del simbolo solare per celebrare la potenza reale. Alla fine del XIX secolo la parola simbolo, già trasformata nel corso del Romanticismo, non riveste più in arte le stesse implicazioni. Il Simbolismo, in quanto movimento, nasce soprattutto in opposizione al realismo accademico e l’artista simbolista si appella al sogno come sorgente creativa. Per i surrealisti, ancor più che per i simbolisti, il simbolo si riduce a risvolto letterario dell’immagine e bisognerà volgersi allora alle teorizzazioni per esempio, di Kandinskij, per ritornare a vedere l’arte tutta, in quanto creazione artistica, come manifestazione in se stessa simbolica.

Etnologia

Nelle società d’interesse etnologico, ogni sfera della cultura si esprime anche attraverso una gamma amplissima d’implicazioni simboliche, il cui significato è di primaria importanza per la comprensione della cultura stessa: attività economiche, struttura sociale e ordinamento politico, riti religiosi e manifestazioni artistiche sono avvolti in un simbolismo che usa largamente sistemi e forme rilevabili dalla vita sociale. Spesso tale simbolismo si esprime attraverso categorie in opposizione e/o complementarietà tra loro (maschio/femmina, libero/schiavo, alto/basso, giorno/notte, destra/sinistra e così via), oppure attraverso colori o attraverso le rappresentazioni artistiche, gli abiti, gli ornamenti, i comportamenti sociali e innumerevoli altri elementi. Il simbolo è in stretto rapporto con la realtà che rappresenta; è un sistema di comunicazione a più livelli (come il linguaggio, i gesti, il sacrificio, le insegne), oltre che di conoscenza, d’espressione e di controllo sociale. La cosiddetta “moneta di Yap” è innanzitutto un simbolo di prestigio sociale, più che un valore o un bene di consumo o di scambio; figure geometriche come il cerchio, il triangolo, il rombo, il meandro ecc., a seconda delle culture, sono simboli sessuali o del paesaggio (si pensi alle pitture su corteccia della Terra di Arnhem) o hanno valore magico-apotropaico o si riferiscono a determinati animali o a fenomeni naturali. La produzione artistica tribale è densa di significati simbolici, come le “pittografie” degli indiani del Nordamerica e l’arte precolombiana del Mesoamerica (la piramide del Tajín, con le sue 365 nicchie, in realtà è il simbolo dell’anno solare). Alcuni di questi esempi sono anche espressione di valori universali, come il sangue, simbolo di vita, di continuità, ma anche di morte; il fuoco, simbolo di forza e potere, ma anche di distruzione e così via. Nelle società tribali gesti, ornamenti, comportamenti rivestono profondi e diversi significati simbolici. Attraverso tali sistemi simbolici, la cultura comunica visivamente o verbalmente i suoi valori e la profonda integrazione che esiste tra tutti gli elementi che la compongono.