Dizionario del Cristianesimo

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Giudaismo

Il messianismo è un’importante categoria del pensiero ebraico. Meno rilevante nel giudaismo odierno, il messianismo fu vivissimo specialmente dal II secolo a.C. al II secolo d.C. La parola “messia” è la trascrizione italiana dell’ebraico masiah, che significa “unto”. Era titolo del re prima dell’esilio babilonese e del sommo sacerdote dopo l’esilio. Con il termine moderno di “messianismo” si indica quella categoria del pensiero ebraico in base alla quale si attendeva l’avvento di un mondo futuro e felice, che si sarebbe prodotto attraverso l’opera di un mediatore. Questo mediatore poté essere, nelle varie fasi della storia giudaica fino al II secolo d.C., un discendente di David, un sommo sacerdote, un essere sovrumano di natura non ben definibile. Alla base del messianismo sta il testo di 2Sam 7, dove si narra che il profeta Natan promise a David un regno eterno. Sul piano politico, il testo garantiva alla discendenza davidica il trono, perché la salvezza del popolo veniva legata indissolubilmente alla presenza sul trono di un membro della dinastia. Ma già Isaia (intorno al 700 a.C.) dava un colorito fortemente religioso a questa presenza davidica sul trono di Gerusalemme. Dalla stirpe di David sarebbe nato, in un indeterminato futuro, un re dotato da Dio  di tali virtù da poter stabilire la giustizia nel Paese (Is 11, 1-5). Nel corso del VI secolo a.C. Ezechiele staccò il messianismo dalla casa davidica e David diventò, da capostipite, tipo o figura del Messia: “Farò sorgere per loro un pastore che li pascerà David mio servo”. Il messianismo ebbe una forte ripresa a partire dal II secolo a.C., legata alla travaglio storico attraversato da Israele, che si trovò a vivere in mezzo alle tensioni tra Tolomei d’Egitto e Seleucidi di Siria e sul piano ideologico frammentato in numerose sette rivali. In questa situazione, utopia e messianismo trovarono facile alimento. Quanto più la salvezza appariva lontana, tanto più si era portati ad attenderla da un intervento divino. Un frammento qumranico (11 QMelch) ci parla di un altro essere sovrumano: Melchisedek. Questo Melchisedek non è il personaggio noto dalla Bibbia  (Gen 14, 18-24), ma un essere sovrumano, un elohim, il quale avrà la funzione di far pentire gli ebrei, di proclamare la loro liberazione e di affrancarli dal peso di tutte le loro iniquità. Una forma di messianismo duplice (sacerdotale e regale insieme) è documentata nella Regola della Comunità (9, 11) e nei Testamenti dei Dodici Patriarchi. In questi testi il messia sacerdote ha sempre importanza maggiore di quello regale: il messia sacerdote avrà il compito di rivelare l’esatta interpretazione della Legge (Testamento di Levi 18, 12) e alla fine potrà legare il diavolo  e farà scomparire per sempre il male dalla terra. Come si vede, la funzione messianica tende a crescere sempre più. L’espressione più alta del messianismo superumano si ha con il Libro delle Parabole (canonico solo nella Chiesa  copta) e composto verso la fine del I secolo a.C. o agli inizi di quello successivo. L’opera ha una grande importanza per lo studio delle origini della teologia  cristiana. In essa appare la figura di un “Figlio dell’Uomo”, che deriva certamente dal Libro di Daniele (Dn 7, 13). Ma nel Libro di Daniele il “Figlio dell’Uomo” era solo il simbolo indicante il popolo dei santi di Dio (cioè degli ebrei); nel Libro delle Parabole diventa invece figura autonoma vera e propria e identificata con Enoc (Enoc etiopico 71, 14) e dichiarata Messia (ivi 52, 4). Per la storia del messianismo, oltre ai testi neotestamentari hanno ancora importanza per questo periodo i due apocrifiApocalisse siriaca di Baruc e Quarto Libro di Ezra, entrambi posteriori di non molto al 70 d.C. In quest’ultimo libro, il Messia torna ad avere dimensioni umane: sarà discendente di David, presiederà al Grande Giudizio e farà giustizia dei pagani. In epoca antica il messianismo ebbe ancora grande peso nelle rivolte antiromane del II secolo d.C. e fu quasi del tutto ripudiato dalla mishnah, opera redatta intorno al 200 d.C. Il giudaismo medievale riprese le tradizioni del primo giudaismo e diede loro nuova forma. A seconda che fosse posta in primo piano la redenzione nazionale o quella individuale, l’aspetto apocalittico dell’attesa messianica veniva sottolineato oppure attenuato. In Maimonide domina un tratto non apocalittico mentre nella Megillath ha-megalleh di Abraham ben Chiyya si giunge addirittura a calcolare il momento della venuta del messia. La continua attesa messianica diede vita nel corso del Medioevo e dell’età moderna a numerosi momenti di fermento. Importanti furono gli episodi legati alle figure di David Reubeni, che nel 1524 si presentò al pontefice a Roma come l’inviato delle dieci tribù disperse e tentò di convincerlo a una nuova crociata per conquistare la Terra Santa; Sabbetai-Zewi, che nella seconda metà del XVII secolo condusse l’intero giudaismo ad affrontare una profonda crisi; Jacob Frank, che sconvolse con la sua azione l’ebraismo polacco alla metà del XVIII secolo. In età moderna, l’ebraismo riformato fece propria la distinzione propria dell’escatologia cristiana fra un’escatologia nazionale particolare e un’escatologia trascendente universale. In ultimo, il sionismo può essere concepito in alcune sue forme teoriche anche come una forma di secolarizzazione dell’attesa messianica.

Cristianesimo

Il nome di Cristo  è la traduzione greca dell’“Unto del Signore”, quindi del Messia. Qualora si volesse quindi trattare in modo estensivo il messianismo del Secondo Testamento, si dovrebbe allargare il discorso alla cristologia. Qui ci limitiamo a definire il rapporto fra il messianismo del Primo Testamento e il giudizio che Gesù  e la Chiesa primitiva ne hanno dato, e l’influsso che la concezione messianica ha esercitato sulla cristologia; questione più limitata ma anche più difficile da definire. Infatti, l’atteggiamento di Gesù nei confronti del messianismo giudaico è evidente nei suoi aspetti principali, ma, nel modo in cui si esplica attraverso la parola e l’azione, estremamente cauto insieme e teso, sicché alcuni studiosi usano parlare del “segreto messianico” nei Vangeli . Se da un lato l’equazione Messia-Cristo viene fatta esplicitamente nel quarto Vangelo (Gv 1, 41; 4, 25), mentre nei capitoli II, III e IV degli Atti l’inizio della predicazione apostolica viene descritto mediante discorsi in cui compaiono ampie citazioni di testi messianici del Primo Testamento, allorché si esaminano i passi in cui Gesù si esprime direttamente sull’identificazione che viene fatta di lui con il Messia (Mc 8, 27-33 e 14, 61 e ss.; Mt 16, 13-23 e 26, 57-68; Lc 9, 18-22 e 22, 63-71), un’attenta analisi rivela che la sua risposta non è semplicemente un’affermazione. Tuttavia, senza far riferimento al messianismo del Primo Testamento non sarebbe possibile intendere l’elemento centrale della predicazione di Cristo, cioè il regno di Dio, né l’aspettazione messianica propria dei cristiani, i quali attendono la Parusia. Il messianismo del Secondo Testamento, mentre conduce così a un significato univoco dei motivi che, nell’ambito del Primo Testamento, appaiono contraddittori (il Messia-Re, il Sommo Sacerdote, il Profeta, l’EbedJahveh), istituisce fra di essi, affidandola alla mediazione della Chiesa, una dialettica che non è tuttora conclusa.