Dizionario del Cristianesimo

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Introduzione

Con questo termine viene comunemente designato quel complesso di Chiese  che risalgono alla Riforma  del XVI secolo e che vengono spesso indicate anche con il nome di “evangeliche”. Inoltre, con la parola protestantesimo si allude anche a un tipo di vita, di cultura e di morale che ha come fonte i principi della Riforma e che si è sviluppato in quelle Chiese. Il termine “protestanti” venne applicato per la prima volta nella dieta imperiale di Spira (1529) ai partigiani di Lutero, che avevano dichiarato di dover “protestare e attestare pubblicamente dinanzi a Dio  di non poter far nulla che fosse contrario alla Parola di Dio”. Il protestantesimo si struttura in una serie di movimenti diversi, che vanno dalle “Chiese libere” battiste, metodiste ecc., alle classiche Chiese luterane e calviniste e, indirettamente, alla Chiesa anglicana . Tuttavia, i protestanti delle varie Chiese ritengono di far parte di un movimento unitario, malgrado le distinzioni di denominazione; si tratta di un’unità dinamica derivante dall’appartenenza a un movimento che ha un’unica origine ed è sostenuto da principi religiosi fondamentalmente comuni: quelli enunciati dai grandi riformatori del XVI secolo.

Principi fondamentali

Il principio fondamentale che sottende tutta la teologia  protestante è l’idea dell’assoluta sovranità di Dio in Cristo : in questo pensiero sono implicite un’altissima valutazione della Maestà di Dio e una rigorosa concentrazione di ogni valore religioso nella persona di Cristo. Da questo principio fondamentale dipendono quelle idee che comunemente vengono menzionate per definire la sfera concettuale della teologia protestante. Le elenchiamo nell’ordine d’importanza: la Bibbia  è l’unica regola di fede  e l’unica fonte di vita religiosa, morale ed ecclesiastica. Questi libri sono autorevoli di per sé, e non hanno bisogno di essere garantiti da nessuna autorità umana. Comunemente si ritiene che i riformatori abbiano affermato il principio del “libero esame”, secondo il quale ogni singolo credente sarebbe libero di interpretare la Bibbia a suo piacimento; questo principio si è effettivamente fatto strada nel protestantesimo posteriore, ma per Lutero e Calvino la Bibbia non può essere esaminata che nella comunione di tutti i credenti; perciò, mentre da una parte le verità bibliche fondamentali s’impongono da sé a ogni credente, la formulazione e l’elaborazione del pensiero cristiano devono essere fatte, in vista della predicazione e della testimonianza, da tutta la Chiesa attraverso i suoi teologi. La dogmatica protestante non consiste perciò nella ricerca di formule valide definitivamente, ma nella costante revisione delle formule tradizionali misurate con il metro della Scrittura: non dunque libertà di esaminare la Bibbia a piacimento, ma dovere di lasciarsi costantemente esaminare e correggere dalla Rivelazione biblica. Coerentemente con questo biblicismo, la “tradizione” della Chiesa viene relativizzata e il Magistero infallibile del pontefice (e della gerarchia ecclesiastica) è stato rifiutato. Un pensiero protestante caratteristico è quello della giustificazione per fede, messo in valore da Lutero, che è legato all’idea protestante del peccato  originale: per i protestanti l’uomo è internamente corrotto nella sua natura stessa. Perciò l’uomo non è libero di salvarsi o di perdersi: egli è irrimediabilmente perduto se non interviene un atto sovrano di Dio che decide, con una scelta libera e gratuita, di “considerarlo come giusto”, perdonandolo, inserendolo nella comunione con Cristo, e suscitando in lui la fede. Nella fede il credente sa di essere riconciliato con Dio attraverso l’opera di Cristo; egli è “eletto” (o, come si dice, predestinato) senza averlo meritato: lo scopo della sua vita non sarà dunque di guadagnarsi la salvezza – nessuna opera umana sarebbe a ciò sufficiente – ma di operare per la gloria di Dio, cioè di lavorare con gioia e riconoscenza, in parole e opere, all’estensione del regno di Cristo. È per questo motivo che il protestantesimo, pur contestando alle opere il carattere di mezzi di salvezza, esige ugualmente dai suoi adepti un alto livello morale. Ma la morale protestante si contrappone all’ascetismo monacale, che considera come un’indebita fuga dal mondo; il protestantesimo propugna un ascetismo intramondano, cioè l’ideale di una vita interamente dedita a Cristo, ma vissuta nel quadro della comune esistenza quotidiana. In genere la morale protestante non si forma su una precettistica, ma su un vivo sentimento di responsabilità personale davanti a Dio. Caratteristica è anche la valutazionsa invisibile (cioè Chiesa segreta, nascosta dalle apparenze esteriori) dalla comunione dei credenti; ma appunto perciò essa riconosce come suo unico capo Cristo, il quale esercita su di essa il suo governo mediante la Parola biblica e lo Spirito Santo . Perciò la Chiesa protestante non è un istituto giuridico e non è retta da una gerarchia (con l’eccezione, in questo caso, della Chiesa anglicana “episcopale”): essa è tenuta in vita dalla predicazione. Accanto alla predicazione vi sono i sacramenti  (si riconoscono come tali solo il Battesimo  e la Santa cena o Comunione ): essi sono segni e mezzi di Grazia  operanti per mezzo della fede (e non, come nella teologia cattolica, ex opere operato). I riformatori affermano che “la Chiesa è là dove l’Evangelo è rettamente insegnato e i sacramenti rettamente amministrati”. Il culto protestante ha perciò al suo centro la lettura della Bibbia, la predicazione e la Comunione: la liturgia  consiste essenzialmente in preghiere  e canti. In pratica, la predicazione ha preso una larga prevalenza rispetto ai sacramenti. I pastori non sono “sacerdoti”, ma essenzialmente predicatori. Essi non governano la Chiesa, che è retta localmente da consigli di “anziani”, e per il resto da assemblee generali (i sinodi ) formate da laici e pastori. Da Novecento in poi, dopo vivaci discussioni, alcune migliaia di donne sono state consacrate pastori.

Il protestantesimo contemporaneo

A partire dal XVIII secolo si è fatta luce una tendenza a svalutare gli elementi dottrinali del protestantesimo a favore di quelli morali e psicologici, nonché a piegare verso il razionalismo: contro questa tendenza hanno reagito i movimenti di Risveglio (Revival), i quali hanno mantenuto o ricondotto il grosso del protestantesimo a una fede ancorata alla Bibbia, pur accentuando gli elementi sentimentali della fede o irrigidendo l’idea dell’ispirazione della Scrittura (“fondamentalismo”). Sempre come reazione, sono emersi i momenti di “Alta Chiesa” (Inghilterra, Germania, Svezia), rivalutanti la liturgia, la Chiesa e la Tradizione ; e, soprattutto, a partire da Kierkegaard si è delineato un netto movimento di ricostruzione teologica, sulla base dei dati oggettivi della fede: con Karl Barth l’epoca del “liberal-protestantesimo” (cioè del compromesso con il razionalismo) è stata chiusa e il protestantesimo ha recuperato una sagomatura dottrinale, nella linea della Riforma. Tendenze di tipo razionalistico sono peraltro tuttora in sviluppo, in corrispondenza con la crisi delle tradizionali società cristiano-protestanti. I principali problemi del protestantesimo contemporaneo, oltre al mai chiuso dialogo con il cattolicesimo romano e al dialogo aperto con l’ortodossia orientale, sono: il superamento dell’eccessiva frammentazione ecclesiastica e delle divergenze dottrinali; la testimonianza cristiana nel mondo secolarizzato; la formulazione di una morale che risponda ai problemi dell’uomo moderno; lo sviluppo delle numerose Chiese sorte nel XIX secolo in Africa e Asia. La ricerca e l’attività protestante in tutti questi campi sono largamente coordinate grazie al Consiglio ecumenico delle Chiese, sorto nel 1948.