Dizionario del Cristianesimo

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Introduzione

È l’eredità culturale, cioè la trasmissione da una generazione all’altra di credenze o di tecniche. L’appello alla tradizione implica il riconoscimento della verità della tradizione stessa e del principio di autorità. Aristotele riconosceva alla tradizione una garanzia di verità, legata ai miti, che va distinta nel suo significato filosofico dal suo uso politico, finalizzato alla persuasione, al rafforzamento delle leggi e all’utilità della polis.
La riscoperta della tradizione autentica è presente anche in Plotino e pone il problema d’individuare le opere e gli eventi di falsa attribuzione volti ad avvalorare in modo ingannevole una dottrina. Quando, in ambito umanistico, Lorenzo Valla dimostrò la falsità del documento, per tradizione ritenuto autentico, sulla donazione di Costantino, negò allo stesso tempo la validità del principio fondante la tradizione, secondo il quale ciò che è conservato nel tempo è, per ciò stesso, garantito nella sua verità. In campo teologico l’opera di Marsilio Ficino testimonia il tentativo di sostituire alla tradizione dell’aristotelismo, ritenuta fonte d’irreligione, la tradizione del neoplatonismo e dell’ermetismo, per rinnovare con una “doctareligio” la tradizione del cristianesimo . Nell’età moderna l’idea tradizione di è contestata con gli strumenti metodologici dello scetticismo da René Descartes, ma soprattutto dai libertini, nelle loro critiche alla tradizione religiosa vista come impostura politica, e dall’Illuminismo, nella denuncia degli errori, dei pregiudizi e delle superstizioni tramandati dalla tradizione e nella critica di una storia concepita come tradizione. È con il Romanticismo che l’idea di  tradizione viene rivalutata e con essa il “sacro” legame con il passato, come afferma Johann Gottfried Herder, e il provvidenzialismo nella storia, come sostiene Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Tale ottimismo storico-metafisico della tradizione troverà nell’inversione di valori e nel nichilismo di Friedrich Nietzsche una critica radicale che coinvolge, oltre alla concezione morale, la stessa tradizione giudaico-cristiana della storia come sviluppo lineare.
Nel Novecento Martin Heidegger sviluppando alcuni temi nietzscheani, svolge una critica alla tradizione della metafisica occidentale e alla sua perdita della dimensione ontologica. In ambito epistemologico Karl Popper considera il cosiddetto processo di liberazione dalle teorie come il passaggio da una tradizione a un’altra; mentre Paul Feyerabend distingue le tradizioni “eclettiche”, che modificano i valori quando le circostanze lo richiedono, dalle tradizioni “dogmatiche”, che modellano tutti gli eventi su valori ritenuti immutabili. L’analisi ermeneutica di Hans Georg Gadamer ha invece individuato nella tradizione, intesa come pre-giudizio, la dimensione fondante della coscienza storica e della ricerca storiografica.

Teologia

Nel significato di paràdosis (consegna) tradizione significa in generale la trasmissione del contenuto della rivelazione mediante scritti, formule fisse, riti, nonché tramite documenti storici, epigrafici, letterari (soprattutto gli scritti dei Padri della Chiesa ) e altri strumenti. La fede  cristiana riconosce però una funzione privilegiata e assolutamente normativa alla Bibbia , in quanto il suo contenuto rappresenta il dato definitivo e immutabile che coincide con la rivelazione stessa. Di conseguenza, il concetto di tradizione si restringe a significare la trasmissione della verità rivelata contenuta nella Sacra Scrittura, mentre emergono altri suoi aspetti, quello cioè di trasmissione orale, nel significato ampio di “non fissato nella Sacra Scrittura”, e soprattutto quello di fissazione autonoma di contenuti non compresi di per sé nella Sacra Scrittura, ma scaturiti dall’insegnamento e dalla vita stessa della Chiesa  quali interpretazioni e sviluppi del dato rivelato e del suo spirito. Soprattutto quest’ultimo aspetto è all’origine del primitivo rifiuto protestante di qualsiasi valore alla tradizione, con la parallela affermazione della “sola Scrittura” quale fonte esclusiva della rivelazione e della fede cristiana. La teologia  cattolica post-tridentina stabilì perciò una contrapposizione fra Scrittura e tradizione, quasi fossero due fonti di fede parallele. Il Concilio Vaticano  II (1962-65), nella Dei Verbum, ha invece codificato il più completo indirizzo teologico che stabilisce una connessione e anche un’interdipendenza fra Scrittura, tradizione e Chiesa, con conseguente mutua convergenza fra le posizioni cattolica e protestante. Lo stesso Secondo Testamento rappresenta uno sviluppo dell’insegnamento originario di Gesù Cristo ; trattandosi però di una tradizione risalente alla predicazione degli apostoli , essa viene definita tradizione “divina” o “apostolica”; costituisce una norma assoluta, intoccabile e irripetibile. La tradizione ecclesiastica, invece, è la trasmissione di quella prima tradizione e rivelazione nella Chiesa e si concretizza nella comprensione e nell’insegnamento della tradizione divina o apostolica.  Mentre la tradizione apostolica è un fatto creativo e costitutivo del contenuto della fede e quindi della Chiesa stessa, la tradizione ecclesiastica (detta anche parathkç, deposito) è un fatto di conservazione in cui rientra essenzialmente la funzione di salvaguardia dell’ortodossia. Rientrano poi nella tradizione ecclesiastica i già nominati contenuti (dottrine, usi, costumi, prescrizioni) non compresi di per sé nella Sacra Scrittura, ma che a questa s’ispirano e ne rappresentano una certa esplicitazione. La caratteristica di questi contenuti è la loro non immutabilità.

Antropologia culturale

Tradizione orale. Le tradizioni orali sono costituite da quel patrimonio di testimonianze verbali riferite, attraverso cui le società illetterate tramandano il proprio passato (civiltà). Quindi l’analisi di tali tradizioni rappresenta uno dei mezzi principali per ricostruire la storia di tali società. All’origine della tradizione vi è una catena di trasmissione i cui anelli sono costituiti da testimonianze auditive; l’ultimo elemento della catena è la testimonianza finale resa a colui che la fissa per iscritto. Nella maggior parte dei casi la testimonianza iniziale sfugge a ogni possibilità di verifica, essendo ignota la funzione che la testimonianza aveva nel momento in cui fu creata; mentre delle testimonianze della catena si può invece verificare il grado di attendibilità. Le fonti distinguono fra testimonianze senza finalità storiche (sembrano le più attendibili, in quanto il testimone non ha alcun interesse a mentire), testimonianze con finalità principalmente storiche (possono essere falsificate) e testimonianze con finalità non principalmente storiche (facilmente falsificabili, in quanto solitamente utilizzano le informazioni storiche come precedenti legali a sostegno di un diritto). Le testimonianze storiche, proprio per la loro ufficialità, sono meno attendibili delle tradizioni private. Nella testimonianza finale si vuole mettere per iscritto ciò che tradizionalmente non lo è mai stato, cosicché l’informatore si trova in una situazione sociale del tutto nuova: è lui che determina la natura della testimonianza trasmettendola integralmente, eliminandone delle parti o trasformandola con aggiunte personali. Ma la tradizione orale è soggetta, oltre che alle deformazioni volontarie apportate dall’informatore, a quelle, generalmente inconsapevoli, prodotte dai valori culturali della società. Gli informatori sono impregnati di tali valori e le tradizioni che essi tramandano ne risultano inconsapevolmente plasmate; il passato viene idealizzato, l’interpretazione degli eventi adattata ai concetti correnti, il significato storico attribuito agli avvenimenti viene modellato dalla società. La stessa concezione del tempo e la nozione di verità storica alterano e deformano la tradizione orale. Generalmente le società approntano metodi e tecniche specifiche di preservazione delle testimonianze; spesso esiste un personale specializzato al quale vengono affidate le tradizioni e che a volte viene istruito in scuole apposite: è il caso degli aztechi, degli incas, delle società dell’Oceania (Hawaii, isole Marchesi, Nuova Zelanda) e dell’Africa (Bono-Mansu, Ruanda). In alcuni casi si sviluppa una specializzazione che assegna diversi tipi di tradizione a personali specifici (nel Ruanda esistevano genealogisti, memorialisti, rapsodi). Esiste, dunque, un’enorme varietà di tradizioni orali, classificabili secondo diversi criteri. La classificazione, elaborata da Jan Vansina in base a cui le tradizione orali vengono divise in cinque categorie, ulteriormente suddivise in sottocategorie e tipi, comprende formule (espressioni stereotipate di natura didattica o rituale: titoli che designano lo status di una persona, proverbi, indovinelli, formule magiche), poesia (canti e poemi storici, panegirici, inni religiosi); liste di nomi (liste di luoghi, genealogie), racconti (racconti storici, miti, racconti eziologici, racconti estetici) e commenti (informazioni esplicative che accompagnano la testimonianza).